Le quote di genere in Francia: l’On. Rixain ospite a Roma e Milano
Mercoledì 7 e giovedì 8 giugno a Roma e a Milano si è parlato di parità di genere nelle aziende.
Protagonista, la parlamentare francese Marie-Pierre Rixain, promotrice della legge in Francia. Questa norma, che porta il suo nome, introduce l’obbligo di quote di genere nelle aziende francesi, supporta un migliore equilibrio nella scelta delle materie di studio superiore e sostiene con interventi mirati l’imprenditorialità femminile.
L’incontro a Roma (qui la registrazione), organizzato dalla Camera dei Deputati e dal Senato italiano, mi ha dato l’occasione di tornare a parlare della legge 120/2011 Golfo-Mosca. Tra gli altri ospiti, anche insieme proprio a Lella Golfo.
Giovedì invece a Milano, presso la SDA Bocconi, al mondo delle istituzioni si sono affiancati accademia e imprese. Ne è scaturido un confronto che ha riportato al centro la discussione sulla validità di sistemi di quote. In un’ottica di parità di genere, rimane lo strumento più efficace (se non l’unico) in grado di portare a un equilibrio e una concreta diversity aziendale. A partire dalle cariche di vertice ma non solo.
L’onorevole Rixain ha raccontato il percorso che ha portato all’approvazione dell’omonima legge francese nel 2022. I passaggi che si sono susseguiti in Francia, ricordano da vicino le prerogative affrontate e la strada percorsa per arrivare alla norma italiana. Altra caratteristica che accomuna i due percorsi, è lo spirito “olistico” che ha accompagnato le due norme. In entrambi i casi siamo partiti dalla realizzazione di come la situazione sconfortante per le donne ai vertici necessitava un intervento dall’alto per essere modificata. Il successo è arrivato anche grazie alla collaborazione di diverse realtà, attori e beneficiari che si sono spesi per raggiungere un obiettivo comune.
Rispetto alla Golfo-Mosca, la normativa francese allarga il campo di azione. Si amplia infatti il tipo (e, conseguentemente, il numero) di imprese e posizioni coinvolte. Sono interessate tutte le aziende con più di 1000 dipendenti che devono includere nei consigli di amministrazione un numero minimo di donne (per quanto si parli di genere, anche oltr’Alpe nella grande maggioranza dei casi sono loro quelle sotto rappresentate). Lo stesso obbligo è inoltre esteso alle posizioni manageriali. Nello specifico si prevede una quota minima del 30% obbligatoria dal 1° marzo 2026, che si alza poi al 40% a partire dal 1° marzo 2029.
Oltre le percentuali
Andando oltre il semplice aspetto numerico, la legge Rixain guarda anche “prima” e “a lato” delle carriere nelle aziende, puntando a contrastare gli stereotipi di genere già dal momento dell’istruzione superiore e nei percorsi di formazione. L’obiettivo del governo è quello di correggere le disuguaglianze nella scelta dei percorsi universitari: basti pensare che in Francia il 26% di studentesse si laureano in ingegneria e il 70% in letteratura – nulla togliendo agli studi umanistici, si tratta di un ulteriore freno alle prospettive di migliore impiego per il futuro delle ragazze.
Inoltre, la norma punta a incoraggiare le imprenditrici facilitando l’accesso ai finanziamenti. Alla banca di investimento pubblico Bpifrance, per esempio, verrà richiesto di tenere in considerazione la parità di genere nell’offrire supporto economico alle nuove imprese.
Dover estendere ulteriormente oggi lo strumento delle quote – come fa la direttiva europea approvata appena qualche mese fa – nonostante gli evidenti successi dimostrati dai numeri, testimonia purtroppo che il cambiamento non è ancora sistemico. Nel momento in cui non sussista o decada l’obbligo – lo vediamo in Italia in tante aziende che si de-listano – le abitudini passate tornano a prevalere. E le donne vengono omesse anche già dal bacino delle candidature per le posizioni di leadership. A 12 anni dall’entrata in vigore della legge italiana e di quella simile francese (la Copè-Zimmermann che rappresenta la base della Rixain), le percentuali dei vertici delle aziende più grandi non vincolate dal rispetto delle quote, restano dominate dagli uomini. In Paesi dove norme simili non ci sono, la situazione è anche peggiore.
Lo ribadisco ancora una volta: non vorremmo fossero più necessari correttivi che impongono per legge. Ma è opportuno che vengano mantenuti e allargati se le tendenze non cambiano, soprattutto se (e perché) non ci sono altre vie.