Cambiare la scuola per puntare a un miglior equilibrio di genere

La pandemia e le chiusure conseguenti hanno fatto emergere, tra le altre cose, la necessità di rimettere in discussione abitudini consolidate. Tra queste, particolare attenzione merita la questione scolastica e della didattica. Se un allarme è suonato, ma purtroppo non sembra forte abbastanza da ricevere ancora una adeguata attenzione, almeno in Italia, è la consapevolezza che il problema non è estemporaneo: la pandemia ha semplicemente esacerbato temi e grandissime lacune che si perpetuano da anni.

Cosa è cambiato nell’ultimo anno e mezzo? Tantissimo al livello della speculazione, della comprensione dei problemi, della consapevolezza più generalizzata delle disparità. Poco ancora in termini fattivi. L’ultima occasione persa, per esempio, il mancato prolungamento dell’anno 2020/2021 per le scuole dell’obbligo a fine giugno (della necessità di un anno scolastico più lungo, ho parlato qualche settimana fa).

Voglio però guardare alle prospettive e alle possibilità che si aprono da qui in poi perché non è lamentandosi o de-costruendoli soltanto che i problemi si affrontano.

Sicuramente le chiusure hanno lasciato molti studenti indietro. Non solo nelle zone più svantaggiate, delle regioni del Sud Italia o le periferie delle grandi città. Non solo evidenziando la disparità tra classi sociali e contesti familiari più o meno deboli. Ad esempio laddove la scolarità dei genitori è bassa, nelle famiglie di recente immigrazione a prescindere dalla loro provenienza, la professione o il livello di istruzione, ma anche dove i genitori hanno lavorato a tempo pieno durante tutte le chiusure, spesso recandosi sul luogo di lavoro, e lasciando quindi i più piccoli a gestire in autonomia la DAD. Troppo spesso senza gli strumenti fisici o l’indipendenza cognitiva per farlo.

Nel mondo, a fronte di un anno scolastico che in alcuni casi partirà già tra poche settimane, la discussione è ampia. Dagli Stati Uniti, una tra le nazioni dove le scuole sono state chiuse più a lungo, a Israele, al Regno Unito, pur nella diversità di contesti, una linea sembra essere comune: la crisi reso indispensabile la trasformazione radicale dell’organizzazione della vita umana e familiare. Quindi, anche, l’insegnamento. Questo ha costretto a un balzo in avanti indispensabile delle competenze tecnologiche da parte degli insegnanti che si sono trovati dalla sera alla mattina a dover rivoluzionare le loro lezioni, integrare le lezioni frontali con applicazioni su tablet e computer, non propriamente scolastiche.

Dagli studi effettuati in alcuni Paesi, arriva la conferma che i momenti di crisi profonda sono anche quelli a cui seguono trasformazioni importanti. E, nel caso specifico della scuola, la possibilità di integrare programmi e consuetudini spesso obsolete con un uso intelligente ed efficace della tecnologia, oggi accessibile anche a basso costo. Questo significa e implicherà necessariamente investimenti più sostanziali in educazione da parte dei governi (non dimentichiamo che per la scuola oggi ancora si spende mediamente molto poco!) per aggiornare il personale docente e dotare gli studenti degli strumenti necessari. Ma anche la possibilità di ripensare alla struttura dell’insegnamento stesso.

Ritengo sia una iniziativa giusta che va in questa direzione, la raccolta firme lanciata da Valentina Chinnici,  presidente del CIDI Palermo, e Franco Lorenzoni, maestro di scuola primaria e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci, Tempo pieno a scuola per tutti e per tutte”. Se in altre parti del mondo occidentale, più simili al nostro Paese, infatti i programmi scolastici, gli insegnamenti impartiti e le modalità con cui vengono affrontati subiscono già da tempo aggiustamenti che meglio seguono l’evolversi della società e delle epoche, in Italia questo avviene lentamente. E dove avviene in parte, è chiaramente un elemento discriminante: chi ha la possibilità, economica e culturale, per farlo può ampliare l’offerta. Chi non ce l’ha, resta alcuni passi indietro.

Pensare di prolungare l’orario e il calendario scolastico è un primo passo, ma è anche un passo decisivo che va nella giusta direzione verso una società più equa. È evidente, per quanto sia ancora difficile farlo comprendere del tutto, che questo può incidere anche sulla parità di genere. Può ampliare le possibilità per le ragazze di sviluppare il loro potenziale più a lungo e offrire maggiore occasioni di riscatto soprattutto laddove è necessario.

Della petizione “Tempo pieno a scuola per tutti e per tutte” ha scritto Vita.it.

Qui il link per sottoscrivere la richiesta di Valentina Chinnici e Franco Lorenzoni.

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