L’Europa e le quote di genere nei cda

Settimana scorsa Ursula von der Leyen ha rilanciato un tema che mi è molto caro oltre che rappresentare una parte importante della mia storia professionale.

Nel 2013 si arenava la proposta di direttiva, sostenuta dall’allora commissaria Vivian Reding per introdurre quote di genere nei cda delle aziende europee. Qualche mese prima insieme a Lella Golfo ero stata invitata a presentare la nostra legge appena approvata al Parlamento europeo.

Per me, giovane parlamentare italiana, non solo un riconoscimento ma la sensazione di una grande responsabilità. Oggi abbiamo coscienza dell’impatto delle quote, ma all’epoca era ancora un tema molto delicato e osteggiato. Come è successo da noi a partire dal 2011, sempre più Paesi si sono resi conto della validità del metodo nel contrastare le disparità di genere. E che non si tratta di una questione che riguarda solo i vertici. Impatta anche sui modelli, le scelte e le soluzioni delle aziende, ma anche la visione sul contributo delle donne nella vita economica e sociale di un Paese.

Oggi nazioni in cui il tema della quote era visto come uno strumento anacronistico, discriminante addirittura, hanno adottato lo stesso principio e stanno già toccandone con mano i risultati. Un pezzo di Euroactiv riassume quello che è successo in questi ultimi anni, a partire dalle aperture da parte della Germania. Ci tengo a sottolineare quello che è avvenuto nei Paesi Bassi. All’epoca della discussione della direttiva promossa dalla Commissaria Reding erano stati strenui oppositori, ma le discussioni attorno al tema hanno portato ad approvare una legge che è entrata in vigore nel 2021 che introduce anche in Olanda le quote di genere.

Il prossimo passo anche in Italia? Approvare una legge come la Rixain, approvata in dicembre in Francia che estende le quote.

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