Il gap educativo dalle scuole elementari. E l’Italia ha pochi laureati

Da qualche anno rivolgo parte della mia attività alle generazioni più giovani, con un’attenzione particolare agli anni delle scuole dell’obbligo. In passato, avevo in particolare affrontato il tema dei talenti italiani trasferiti oltre confine per lavoro o studio, agevolando il rientro in patria con norme fiscali più leggere.

Già allora era profonda la questione dell’esodo continuo di professionisti verso l’estero. Oggi, a questa vera fuga di profili preparati (che vanno ad arricchire altri Paesi dopo essersi formati in Italia), si affianca un sempre più profondo gap educativo. Già negli anni delle scuole dell’obbligo che poi prosegue e peggiora negli anni degli studi superiori. In parte legato a questo, cresce anche il numero di chi abbandona la scuola appena finiti gli anni di studio richiesti dalla legge e in molti casi va ad alimentare il numero di neet not in education, employment or training. Un quadro che sta delineando un futuro impoverito educativamente per il nostro Paese.

Recentemente il rettore dell’Università Bocconi, Francesco Billari, intervenendo sul Corriere della Sera, ha messo in relazione due estremi. Partendo dalle basse percentuali di laureati italiani, ha puntato lo sguardo alla base del sistema educativo nazionale. E evidenziato, ancora una volta e in modo chiarissimo, la necessità di intervenire sulla preparazione di base, negli anni delle scuole primarie, per evitare uno scarso accesso alle università poi. Meno preparati, risultano poi meno competitivi. Avere più laureati è cruciale perché è vicinissimo il futuro in cui mancheranno competenze adatte per sostenere il sistema economico nazionale.

Scrive il rettore:

“È quanto mai evidente che è sempre più urgente investire sulle nuove generazioni, le uniche in grado di dare un futuro sostenibile alla nostra società. Per farlo dobbiamo iniziare a cambiare prospettiva prima nella scuola, pensando un sistema che stimoli più giovani al percorso universitario magari guardando a quei paesi, dalla Finlandia al Regno Unito, con una quota di laureati superiore al nostro e che hanno un sistema basato su una scuola secondaria unica fino a 16 anni, che non costringe le famiglie a compiere scelte con conseguenze di lungo periodo a 13 anni”.

Questo discorso conferma la necessità di ripensare alla scuola primaria italiana. Non possiamo negarlo: i programmi, la struttura, il calendario delle lezioni non sono adatti alle sfide del presente. Né seguono l’evoluzione delle richieste del mondo del lavoro, non favoriscono l’occupazione femminile e, a questa legato, non sostengono la natalità.

Istruzione (primaria e universitaria) e occupazione femminile sono anelli della stessa catena. Al momento punti deboli, se correttamente supportati possono rappresentare le risposte a tante questioni che stanno mettendo a dura prova il nostro Paese.

Dentro questo binomio, è sempre più discussa la questione della partecipazione delle donne e delle ragazze alla scienza. Se è vero che sono aumentate le studentesse di materie STEM, le ragazze restano ancora indietro in questi ambiti. Si laureano in meno e quelle che entrano in questi settori abbandonano prima il posto di lavoro spesso a causa proprio degli stereotipi persistenti e ambienti tossici.

I dati, raccolti durante Italia Brilla 2022, mettono in chiaro come le modalità di insegnamento risultino tra le prime cause frenanti dello sviluppo della passione per le materie scientifiche. Secondo l’elaborazione fatta da Ipsos per Il Cielo Itinerante, le tre principali motivazioni che rendono la matematica, tra le altre materie, respingente sono il fatto che:

1) sia troppo rigida e poco creativa;

2) non venga insegnata in modo semplice e appassionante a scuola e che – forse conseguenza di questo –

3) risulti frustrante.

Gli studenti trovano molto difficile interessarsi maggiormente e proseguire poi negli studi di questi ambiti.

Lo stesso studio però segnala un evidente contrasto con le preferenze di partenza. Per gli interpellati alla nostra indagine, infatti, è la matematica la materia preferita a scuola (insieme all’educazione fisica). Lo è per il 44% dei maschi e per il 38% delle femmine. Perdono interesse e passione troppo presto perché nel tempo non sono state aggiornate le modalità di insegnarla. Ecco che sacche importanti di popolazione giovane restano fuori dalle prospettive del futuro. È evidente: non stiamo contrastando il rischio di un Paese sempre più vecchio e, ad oggi, per molti aspetti ancora poco attrattivo.

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