Si cambi il calendario scolastico, vi spieghiamo perché

la Repubblica / Dietro la Lavagna > 24 settembre 2022

Dalla Newsletter di la Repubblica, il nostro contributo sull’annoso tema dei calendari scolastici.

Fa troppo freddo: chiudiamo le scuole. Fa troppo caldo: chiudiamo le scuole. Ci sono le elezioni: chiudiamo le scuole. C’è una nuova ondata di Covid: e noi, con le modalità più drastiche in Europa, chiudiamo le scuole. Sale il prezzo dell’energia. Già si propone di risparmiare sul riscaldamento nelle scuole, riducendo di un giorno la settimana di frequenza. In Italia, l’intermittenza dei percorsi educativi sui banchi è ormai una consuetudine, accettata senza fare troppe domande.

Ma il lockdown ci ha insegnato, dati alla mano, che la chiusura delle scuole, specie se prolungata, ha molteplici effetti negativi: riduzione delle competenze matematiche e scientifiche, aumento delle disuguaglianze, impatto sulla partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, solo per citare i più significativi.

Eppure, dalla lezione della pandemia pare non si sia tratto alcun insegnamento da questo punto di vista. 

Dopo ben 13 settimane, a metà settembre si sono riaperti i cancelli delle scuole italiane: un calendario scolastico obsoleto, che affonda le sue radici nelle usanze di una cultura contadina che ormai è evidentemente superata da decenni. Siamo anche su questo punto senza eguali in Europa: i bambini italiani restano a casa per oltre un trimestre. Ben lontani dalle esperienze di Paesi Bassi e Germania, per esempio, che prevedono 6 settimane di chiusura estiva (a cui si aggiungono pause di minore durata nel corso dell’anno). Oppure di Francia e Belgio i cui studenti stanno a casa tra inizio luglio e fine agosto. O ancora come la Spagna che ha recentemente modificato i suoi calendari e protratto la scuola fino a tutto giugno.

Se a questa unicità corrispondessero risultati positivi per gli studenti o per la società, ci potrebbero essere argomenti ragionevoli a favore. Ma non è così. L’Italia in termini di competenze degli studenti, è sotto la media europea. E a questo si aggiunge un tasso di occupazione femminile da paese arretrato che un cambiamento di calendario potrebbe invece favorire. Come sta dimostrando l’esperienza di alcuni paesi europei come la Spagna.

Il calendario scolastico può essere uno strumento organizzativo dall’impatto articolato e significativo.

Innanzitutto in termini di disuguaglianze. Considerando l’importanza che gli stimoli e il contesto familiare hanno sullo sviluppo educativo dei bambini, lasciare per più di tre mesi i bambini a casa, certamente rinforza l’approfondirsi di disuguaglianze sociali. Durante la pausa estiva, infatti, diventa critico il divario tra chi può o meno permettersi (economicamente e culturalmente) di offrire ai propri figli stimoli di apprendimento e nuove curiosità – quali campi estivi o esperienze collettive – marcando così una distanza di competenze crescente nel tempo, che si riflette sulle pari opportunità future, e la mobilità sociale.

Sull’occupazione femminile, in secondo luogo, si può ben immaginare che in un paese dove il carico della cura dei figli è quasi totalmente sulle spalle delle donne, sono state fino ad ora loro a essere costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, non avendo mediamente posti di lavoro che consentano annualmente tre mesi di vacanza. Il nesso causale, in questo caso, è stato molto evidente durante il lockdown.

Con l’associazione Il Cielo Itinerante, abbiamo attraversato il Paese andando nelle zone a più alto rischio di abbandono scolastico. Con alcuni telescopi montati su un furgoncino, abbiamo “portato il cielo dove di solito non arriva”, per offrire ai bambini tra gli 8 e i 13 anni, la possibilità di misurarsi con il piacere della scoperta e di giocare con la scienza. Abbiamo una evidenza diretta dell’entusiasmo e la passione con cui i bambini partecipano ad iniziative in cui si confrontano con la scienza e con stimoli nuovi. Insieme.

Non regge la giustificazione spesso avanzata che caldo estivo e stagione turistica impediscono lo svolgimento regolare delle lezioni (come fanno i paesi tropicali o quelli desertici? Ma anche la vicina Spagna che, come ricordato, ha già attuato una riforma in questo senso?). Aumentare le pause distribuite lungo i 12 mesi avrebbe invece un effetto positivo. Momenti di interruzione di una settimana ogni 6 o 8 settimane, come già succede nei paesi del centro Europa, alleggerisce il carico sui ragazzi, specie nel periodo invernale più faticoso e offre opportunità migliori ai genitori che lavorano, per spartirsi più equamente le responsabilità di cura familiare.

Un calendario scolastico modificato rappresenterebbe allora una svolta per il nostro Paese, e francamente dopo la pandemia ci saremmo aspettate un intervento coraggioso di correzione di questa anomalia italiana. Sarebbe un segno forte che il nuovo Parlamento con coraggio promuovesse subito il cambiamento del calendario già a partire da quest’anno, spostando l’inizio delle vacanze estive a luglio – come, tra l’altro, succede per le scuole materne. L’appello da fare al nuovo Parlamento che verrà eletto è quello di agire in tal senso, non perdendo ulteriore tempo per una riforma posticipata già troppe volte.

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