ASEAN: Giochi di equilibrio per dieci

ISPI > GlobalWatch – Speciale Geoeconomia

La guerra tra Russia e Ucraina ha conseguenze particolarmente problematiche per i Paesi ASEAN. Sul piano economico, la regione non ha ancora pienamente superato la crisi prodotta dall’epidemia Covid e già si trova ad affrontarne un’altra. Sul piano politico e strategico, molti governi intrattenevano rapporti cordiali, o anche molto stretti, con Mosca. Fare affidamento sulla Russia per forniture militari ed energetiche era un buon modo per evitare di schierarsi più nettamente tra Stati Uniti e Cina, che proprio nell’Asia-Pacifico si stanno confrontando. Per questo i dieci Paesi ASEAN sembrano aver adottato una posizione di tendenziale neutralità, espressa anche in sede ONU. La maggior parte di loro (Brunei, Cambogia, Malesia, Singapore, Thailandia, Indonesia) si è astenuta al momento di votare l’espulsione della Federazione russa dal Consiglio per i diritti umani, mentre si sono schierati contro Vietnam e Laos, partner storici della Russia nella regione. A favore dell’espulsione hanno votato solo le Filippine, che vivono un periodo di riavvicinamento agli USA dopo la “fase cinese” del presidente uscente Rodrigo Duterte, e la delegazione del Myanmar, che rappresenta però il governo civile in esilio e non la giunta militare attualmente al potere.

Il boicottaggio economico e politico della Russia da parte di Europa e Stati Uniti renderà difficile per l’ASEAN mantenere i legami che avevano con Mosca e potrebbe costringere alcuni di loro a ripensare il proprio posizionamento rispetto a Washington e Pechino.

Economia e commercio

L’impatto economico della guerra sarà eterogeneo tra i vari Paesi, ma colpirà ovunque le fasce di popolazione meno abbienti, maggiormente esposte all’aumento dei prezzi di generi alimentari e carburanti. Le economie ASEAN sono fortemente orientate all’export e vedono nell’Unione Europea un partner fondamentale (9% dell’export totale). I Paesi europei sono quelli più colpiti dall’interruzione dei rapporti commerciali con la Russia e avranno quindi meno risorse per acquistare le merci ASEAN e investire nel Sud-Est asiatico. Ogni crisi economica UE colpisce tutti i suoi partner asiatici – non solo i 10 Stati membri dell’associazione. La diminuzione della domanda europea avrà conseguenze più forti in Vietnam e nelle Filippine. Da una parte, Hanoi deve all’export l’ottima crescita degli ultimi anni e i legami con il nostro continente sono diventati più stretti grazie all’accordo di libero scambio del 2019. La nuova amministrazione a Manila, dall’altra, dovrà affrontare, oltre all’inflazione in forte aumento e alla svalutazione del Peso, un numero ancora elevato di casi Covid e un grave deficit commerciale.

Agricoltura

Secondo l’OCSEnel 2017 60 milioni di persone continuavano a soffrire la fame nella regione del Sud-Est asiatico e, nei primi mesi del 2022, la FAO ha rilevato che i prezzi alimentari sono aumentati del 34% rispetto all’anno prima. Alcuni Paesi, Filippine in testa, dipendono da Russia e Ucraina per l’importazione di grano e mais; altri, come l’Indonesia, ancora importano dai due Paesi i fertilizzanti impiegati in altre produzioni. Particolare attenzione meritano poi gli olii vegetali, un settore di grande importanza per la prosperità della regione, ma specialmente per Malesia e Indonesia. E anche se l’aumento dei prezzi registrato a livello globale potrebbe favorire i produttori locali, al momento l’inflazione è fuori controllo e crea problemi di approvvigionamento interno. La soluzione trovata da Giacarta, per esempio, è stata imporre un divieto di esportazione che ha incontrato forti critiche dai partner internazionali e che riaccende la dispute – anche legali – sulle misure protezionistiche del governo indonesiano.


Energia

Anche nel settore energetico si registrano effetti diversi a seconda del Paese coinvolto. Mentre alcuni Stati sono quasi esclusivamente consumatori e importatori di petrolio e gas naturale, come Singapore e Thailandia, altri sono produttori ed esportatori. Indonesia, Malesia e Vietnam beneficeranno dall’aumento dei prezzi e potranno, poi quindi, utilizzare i nuovi guadagni per finanziare misure a sostegno delle categorie colpite dall’inflazione. Basti ricordare come Kuala Lumpur e Giacarta siano tra i principali produttori mondiali di gas naturale liquefatto (rispettivamente il quarto e l’ottavo). La domanda mondiale di questo prodotto è in fortissimo aumento e verso di esso si registra già un cambiamento di prospettiva da parte dei governi europei, desiderosi di sostituire il gas russo con un combustibile che viene percepito – pur non senza controversie – come meno inquinante.

La crisi che ha investito sia agricoltura sia energia, infatti, si scontra oggi con un’altra emergenza importante in particolare proprio per tutto il Sud-Est asiatico, quella climatica. Risulta difficile, da un lato, contenere l’inflazione su questi prodotti di prima necessità e, dall’altro, proseguire con l’impegnativa, ma necessaria, transizione ecologica. Data la situazione attuale e le prospettive di medio termine, i governi ASEAN potrebbero ridurre il loro impegno per un’agricoltura più sostenibile e la promozione delle fonti rinnovabili – un rischio che tocca da vicino anche i governi europei.

La sorte delle partnership tra aziende statali russe e asiatiche

Mentre le grandi aziende europee e americane interrompono i rapporti con i colossi energetici russi, le loro controparti nei Paesi ASEAN non sembrano intenzionate a mettere in discussione questi legami. Sia per la Russia come nel Sud-Est asiatico, si tratta quasi sempre di imprese di proprietà statale. Ad esempio, la malese Petronas continuerà a cooperare con Gazprom nelle attività estrattive in Iraq. In Vietnam, una delle più grandi aziende energetiche del Paese è Vietsovpetro, una joint venture tra il gruppo russo Zarubezhneft e la società statale vietnamita Viet Petro. In Indonesia, la compagnia di stato Pertamina, attiva nell’estrazione di petrolio e gas, sta sviluppando un grande impianto di raffinazione insieme a Rosneft: il gruppo russo controllerà il 45% di questo stabilimento strategico per lo sviluppo del settore petrolifero nell’arcipelago. Questi rapporti non possono essere sostituiti facilmente e in tempi brevi. Bisognerebbe offrire alle aziende della regione – e ai governi che le controllano – partnership alternative, ricordandosi che rafforzare i rapporti economici tra UE e ASEAN è un modo per promuovere modelli di sviluppo sostenibili e forme più profonde di cooperazione politica.

Il settore delle difesa

Non sono solo i legami economici a impedire ai Paesi ASEAN di adottare una linea più dura verso la Russia. Per alcuni governi della regione tale rapporto abbraccia anche la difesa. Vietnam, Laos e Cambogia sono partner storici del Cremlino fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Tale rapporto ha permesso in passato di mantenere una certa distanza dalla Cina. Il caso del Vietnam è emblematico: Hanoi conduce da decenni quella che è stata definita bamboo diplomacy, ossia una strategia “flessibile” e volutamente ambigua che mira a sottrarsi all’influenza cinese, ma senza rinunciare alla cooperazione con Pechino e mantenendo rapporti cordiali con gli Stati Uniti. Strategia che però trovava un suo punto fermo nella sua partnership con la Russia. Dal 2000 l’80% circa delle armi dell’esercito vietnamita proviene dalla Russia e a fine 2021 i due Paesi hanno rinnovato e ampliato il loro accordo di cooperazione militare. Le sanzioni europee e americane però renderanno difficile anche per i vietnamiti continuare a comprare armi – ma anche attrezzature per il settore petrolifero – russe. Il tempismo per Hanoi non poteva essere dei peggiori: negli ultimi anni le tensioni con la Cina per il controllo del Mar cinese meridionale sono aumentate e il Vietnam, come gli altri Paesi ASEAN coinvolti nella disputa, vuole rafforzare il proprio apparato difensivo. Cooperare con Mosca nella difesa costituiva un buon modo per evitare di prendere posizione tra Stati Uniti e Cina.

Tutti i governi dell’area vogliono contenere l’influenza cinese nella regione e mantenere allo stesso tempo un rapporto di cooperazione con Pechino. Questo difficile equilibrismo richiede cautela nei rapporti con le due potenze rivali del Pacifico. Una possibile soluzione passa per il rafforzamento della cooperazione a livello ASEAN e dei rapporti con partner alternativi come UE e India. La situazione è ancora più complessa per il regime militare in Myanmar: la Russia è l’unico vero amico del Tatmadaw, dato che la Cina manteneva ottimi rapporti con il governo civile di Aung San Suu Kyi, ma ora l’esercito birmano dovrà necessariamente cooperare con Pechino per uscire dal suo isolamento.

Il rapporto con Washington

Nel quadro generale dell’area, risulta peculiare la situazione di Singapore. La città-stato vuole buoni rapporti sia con Washington sia con Pechino, ma allo stesso tempo non ha apprezzato il mancato invito al Summit for Democracy organizzato lo scorso dicembre dall’amministrazione Biden. In questa luce potrebbe spiegarsi la scelta di partecipare alle sanzioni contro la Russia, ma allo stesso tempo di astenersi in sede ONU sull’espulsione dal Comitato diritti umani.

Anche l’Indonesia dovrà trovare un punto di equilibrio non facile: negli ultimi anni le relazioni con gli USA si sono molto rafforzate, ma quest’anno Giacarta presiede il G20 e dovrà scegliere come affrontare la questione della partecipazione russa – alcuni Paesi chiedono che Mosca sia estromessa e che l’Ucraina sia invitata al suo posto.

Infine, le Filippine sono il partner storicamente più vicino a Washington all’interno dell’ASEAN, ma il nuovo presidente eletto Ferdinand “Bongbong” Marcos ha evitato di condannare apertamente Putin e vuole provare a rafforzare i legami con Pechino – come ha provato a fare, senza grande successo, anche il suo predecessore Rodrigo Duterte.

Leave a Comment