La presidenza del G20 e l’opportunità ASEAN (intervista)

Ho risposo ad alcune domande per gli “highlights” di FB&Associati.

1. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, insieme alle severe conseguenze della pandemia, stanno contribuendo a ridisegnare il panorama internazionale. Secondo diversi economisti lo spostamento dell’asse commerciale verso l’Asia avrebbe subito, in quest’ultimo frangente, un’accelerazione della quale potrebbero risentire anzitutto Stati Uniti ed Unione europea. I tempi per il cosiddetto secolo asiatico sarebbero prossimi. In questo inedito scenario, quale ruolo può svolgere l’Italia alla luce della Presidenza del G20? Nel rapporto con le nazioni del sud-est asiatico quale declinazione possono assumere le parole d’ordine: People, Planet, Prosperity?

Che il cuore pulsante del mondo sia già oggi l’Asia-Pacifico e che lo sarà sempre di più in futuro è ormai un dato di fatto. Non sorprende che sia gli USA che l’Unione Europea dovranno (ri)trovare il loro ruolo nel cosiddetto secolo asiatico. Se gli Stati Uniti già con Obama presidente e ancora con la nuova amministrazione Biden, hanno messo al centro della loro politica l’Asia (pivot to Asia), l’UE è ancora nella fase di definizione di una sua linea per quell’area geografica (Indo-Pacific outlook). Davanti a questo scenario, il nostro Paese si troverà a presiedere per la prima volta il G20. Un’occasione questa che dovrà essere sfruttata al meglio per gettare solide basi su cui costruire le relazioni tra Europa e Asia. L’Italia potrà giovarsi di questa sua posizione di rilievo per mediare tra USA e Cina, ma anche tra Cina e India e cercare quindi di ricomporre le dispute commerciali in atto. Ecco allora che davanti a questo quadro e con in mente un modello di sviluppo sostenibile, è chiaro perché i tre principi, le 3P (People, Planet, Prosperity) sono al centro della Presidenza oggi di turno al nostro Paese. Un modello di sviluppo sostenibile ha e avrà un ruolo sempre centrale soprattutto anche alla luce della pandemia che stiamo vivendo e ci sta già obbligando a rimettere in discussione la struttura dell’economia come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Per i 10 Paesi membri dell’ASEAN, le 3P giocano un ruolo dirimente, sottolineato anche della loro strategia Vision 2025. L’obiettivo è costruire una comunità con al centro le persone e che garantisca ai cittadini prosperità economica entro un quadro di sostenibilità per il pianeta. In questo frangente, l’Italia potrà giocare un ruolo di guida tra le economie più avanzate del G20 che possono implementare e monitorare l’applicazione dei tre principi cardine nel Sud-Est asiatico, attraverso progetti concreti in campi come la salute, le infrastrutture, il settore digitale, l’istruzione e la green economy. Infine, teniamolo presente, il nostro Paese lascerà il testimone della Presidenza all’Indonesia: questo non solo potrebbe garantire una più stretta collaborazione tra i due, ma anche aiutare a rafforzare la reciproca conoscenza e i legami con tutto il comparto ASEAN.

2. In un quadro globale sempre più insistentemente minacciato dal protezionismo e delle ipotesi di decoupling, con la firma del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) l’Asia Pacifico diventa il cuore del multilateralismo nonché la più grande zona di cooperazione economica del mondo. Su iniziativa dei paesi dell’Asean viene raggiunto così un risultato storico: si stima, infatti, che un terzo della popolazione e del PIL mondiale nel giro di dieci anni possa commerciare a tariffe agevolate. Lo status di Development Partner dell’Asean, assunto dall’Italia lo scorso settembre, quali opportunità configura? Quali settori economici possono ritenersi complementari tra il nostro Paese e quelli dell’Asean?

La firma del RCEP ha molti aspetti favorevoli: è l’esempio di una politica della cooperazione, in piena antitesi con gli atteggiamenti protezionistici che abbiamo conosciuto nell’era Trump e che hanno profondamente danneggiato un po’ ovunque il commercio internazionale. L’ASEAN dimostra di essere oggi ancora una volta il luogo privilegiato nel quale far incontrare gli interlocutori dell’estremo oriente e affiancarli verso un accordo. Si spera che una politica di maggiore cooperazione economica possa anche contribuire ad alleviare certe frizioni politiche persistenti nell’area. Possiamo leggere alla luce del RCEP anche lo status dell’Italia, da qualche mese diventato Development Partner dell’ASEAN: il nostro Paese si posiziona insieme a Germania e Francia fra quelli che più ambiscono ad avere un ruolo nel grande mercato asiatico e in particolare in quello in rapido sviluppo della regione, un’area abitata da 650 milioni di persone, già oggi quinta per PIL mondiale (con 3.000 miliardi di dollari l’anno) che cresce attorno al 5%. Il Sud-Est asiatico è sicuramente la regione del mondo che ha maggiormente beneficiato degli effetti positivi della globalizzazione. Annovera inoltre una giovane e rampante classe media pronta a consumare beni e servizi prodotti dall’UE. Ad oggi l’Italia esporta principalmente macchinari, attrezzature e prodotti chimici, mentre importa prodotti alimentari ed elettronici. Per il futuro, grazie al suo Status, potremo accedere a questi mercati in via preferenziale e quindi incrementare ancora gli scambi e recuperare il gap nei confronti di altre nazioni europee. Essere Development Partner ci permette inoltre di sostenere questi Paesi nel loro percorso di sviluppo e nella costruzione di società moderne, in grado di reggere alle sfide globali di domani. Per rafforzare i rapporti, l’Italia ha deciso di puntare in particolare su cinque temi: cooperazione politica/sicurezza, socioculturale, economica/connettività, ambientale/agricola, sanitaria. Questi sono i campi sui quali nei prossimi anni il nostro Sistema-Paese si dovrà impegnare per arrivare a costruire relazioni proficue con questa vivace area del mondo.

3. Dal 1° agosto 2020 è in vigore l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e il Vietnam. L’intesa, notava Romano su Il Sole 24 Ore del 12 febbraio 2020, «è il tentativo di aggirare il congelamento delle trattative aperte con l’ASEAN» dopo le frizioni in materia di coltivazioni di olio di palma, a causa dei danni ambientali alle foreste. Su quali basi è possibile rilanciare il negoziato?

Nel 2007 l’Unione europea ha aperto trattative con l’ASEAN per siglare un accordo di libero scambio, ma il fallimento nel raggiungere un’intesa nel 2009, dovuto anche alle problematiche ambientali legate alla coltivazione dell’olio di palma, ha spinto a cambiare strategia: invece di cercare un accordo unico, si è iniziato a puntare su singoli accordi con ciascuno dei 10 Paesi membri dell’associazione asiatica. La prospettiva di un deal region-to-region non è, però, mai venuta meno tanto che durante il 22esimo meeting ministeriale UE-ASEAN nel 2019, è stata espressa da entrambe le parti la volontà di arrivare a un accordo nei prossimi anni. È bene però ricordare che, sebbene l’olio di palma sia una commodity molto importante nel Sud-Est asiatico (Indonesia e Malesia ne sono i principali produttori mondiali), non si possono ridurre le relazioni economiche tra UE e ASEAN solo a questo prodotto. I Paesi ASEAN stanno infatti crescendo molto e hanno progetti ambiziosi per diventare nei prossimi venti anni economie pienamente compiute e moderne, grazie agli investimenti importanti in vari campi: infrastrutture, educazione di qualità e ricerca, welfare e sanità, energia rinnovabile e agricoltura sostenibile. A fronte di questo è chiaro che i temi sui quali costruire un accordo commerciale solido e ampio tra le due regioni del mondo sono molti e l’olio di palma, sebbene abbia un peso importante, non può essere l’unico elemento che determina il futuro degli accordi commerciali. Ma la situazione è, in realtà, molto più complessa e articolata che l’annosa questione dell’olio di palma. Non possiamo dimenticare infatti che ad oggi i negoziati in particolare a partire dai colloqui con Thailandia, Filippine e Myanmar, sono rallentati da problemi legati al rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani, elementi sui quali l’UE non può transigere. Dunque, i negoziati potranno riprendere, sia a livello di singoli Stati che di ASEAN, solo se vi sarà una veduta comune e condivisa anche su principi generali come questi.

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